domenica 26 gennaio 2014

Messaggio di Medjugorje del 25 Gennaio 2014 - "Cari figli! Pregate, pregate, pregate."

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Il messaggio mensile di Medjugorje affidato alla veggente Marija.

Messaggio di Medjugorje
 25 Gennaio 2014

"Cari figli! Pregate, pregate, pregate perché il riflesso della vostra preghiera influisca su tutti coloro che incontrate. Mettete la Sacra Scrittura in un posto visibile nelle vostre famiglie e leggetela perché le parole di pace scorrano nei vostri cuori. Prego con voi e per voi, figlioli, perché di giorno in giorno siate sempre più aperti alla volontà di Dio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. "






Per approfondimenti e commenti al messaggio vi invito come sempre a visitare il sito di Radio Maria.

Leggiamo il Vangelo - Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini - Vangelo Mt 4,12-23 (26 Gennaio 2014)

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Alleluia, alleluia.
Gesù predicava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo.
Alleluia.

Vangelo Mt 4,12-23
Venne a Cafarnao perchè si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia

+Dal Vangelo secondo Matteo

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Parola del Signore.





LETTURE

Prima Lettura Is 8,23 - 9,3
Nella Galilea delle genti, il popolo vide una grande luce.

Dal libro del profeta Isaìa

In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Mádian.

Parola di Dio

Salmo  Sal 26 (27)
Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? Rit.

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario. Rit.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. Rit.

Seconda Lettura 1Cor 1,10-13.17
Siate tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo».
È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

Parola di Dio

giovedì 23 gennaio 2014

Udienza Generale #PapaFrancesco - Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Le divisioni fra noi cristiani sono uno scandalo. (22 Gennaio 2014)

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UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 gennaio 2014

 Settimana di preghiera 
per l’unità dei cristiani





Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Sabato scorso è iniziata la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si concluderà sabato prossimo, festa della Conversione di san Paolo apostolo. Questa iniziativa spirituale, quanto mai preziosa, coinvolge le comunità cristiane da più di cento anni. Si tratta di un tempo dedicato alla preghiera per l’unità di tutti i battezzati, secondo la volontà di Cristo: «che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Ogni anno, un gruppo ecumenico di una regione del mondo, sotto la guida del Consiglio Ecumenico delle Chiese e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, suggerisce il tema e prepara sussidi per la Settimana di preghiera. Quest’anno tali sussidi provengono dalle Chiese e Comunità ecclesiali del Canada, e fanno riferimento alla domanda rivolta da san Paolo ai cristiani di Corinto: «È forse diviso il Cristo?» (1 Cor 1,13).

Certamente Cristo non è stato diviso. Ma dobbiamo riconoscere sinceramente e con dolore, che le nostre comunità continuano a vivere divisioni che sono di scandalo. Le divisioni fra noi cristiani sono uno scandalo. Non c'è un'altra parola: uno scandalo. «Ciascuno di voi – scriveva l’Apostolo – dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo”» (1,12). Anche quelli che professavano Cristo come loro capo non sono applauditi da Paolo, perché usavano il nome di Cristo per separarsi dagli altri all’interno della comunità cristiana. Ma il nome di Cristo crea comunione ed unità, non divisione! Lui è venuto per fare comunione tra noi, non per dividerci. Il Battesimo e la Croce sono elementi centrali del discepolato cristiano che abbiamo in comune. Le divisioni invece indeboliscono la credibilità e l’efficacia del nostro impegno di evangelizzazione e rischiano di svuotare la Croce della sua potenza (cfr 1,17).

Paolo rimprovera i corinzi per le loro dispute, ma anche rende grazie al Signore «a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza» (1,4-5). Queste parole di Paolo non sono una semplice formalità, ma il segno che egli vede prima di tutto – e di questo si rallegra sinceramente – i doni fatti da Dio alla comunità. Questo atteggiamento dell’Apostolo è un incoraggiamento per noi e per ogni comunità cristiana a riconoscere con gioia i doni di Dio presenti in altre comunità. Malgrado la sofferenza delle divisioni, che purtroppo ancora permangono, accogliamo, le parole di Paolo come un invito a rallegrarci sinceramente delle grazie concesse da Dio ad altri cristiani. Abbiamo lo stesso Battesimo, lo stesso Spirito Santo che ci ha dato la Grazia: riconosciamolo e rallegriamoci.

È bello riconoscere la grazia con cui Dio ci benedice e, ancora di più, trovare in altri cristiani qualcosa di cui abbiamo bisogno, qualcosa che potremmo ricevere come un dono dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle. Il gruppo canadese che ha preparato i sussidi di questa Settimana di preghiera non ha invitato le comunità a pensare a quello che potrebbero dare ai loro vicini cristiani, ma le ha esortate ad incontrarsi per capire ciò che tutte possono ricevere di volta in volta dalle altre. Questo richiede qualcosa di più. Richiede molta preghiera, richiede umiltà, richiede riflessione e continua conversione. Andiamo avanti su questa strada, pregando per l'unità dei cristiani, perché questo scandalo venga meno e non sia più tra noi.

domenica 19 gennaio 2014

Leggiamo il Vangelo - Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. - Giovanni 1,29-34 (19 Gennaio 2014)

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«Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Vangelo Gv 1,29-34
Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.

+Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».




LETTURE

Prima Lettura Is 49,3.5-6
Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.

Dal libro del profeta Isaìa

Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza - e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra».

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Salmo  Salmo 39 (49)
Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Rit.
Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo». Rit.

«Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo». Rit.

Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai. Rit.

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Seconda Lettura 1Cor 1,1-3
Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!


mercoledì 15 gennaio 2014

Udienza Generale di #PapaFrancesco - I Sacramenti: IL BATTESIMO (parte II) - 15 Gennaio 2014

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UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 15 gennaio 2014

 I Sacramenti: IL BATTESIMO 
(parte II)




Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Mercoledì scorso abbiamo iniziato un breve ciclo di catechesi sui Sacramenti, incominciando dal Battesimo. E sul Battesimo vorrei soffermarmi anche oggi, per sottolineare un frutto molto importante di questo Sacramento: esso ci fa diventare membri del Corpo di Cristo e del Popolo di Dio. San Tommaso d’Aquino afferma che chi riceve il Battesimo viene incorporato a Cristo quasi come suo stesso membro e viene aggregato alla comunità dei fedeli (cfr Summa Theologiae, III, q. 69, art. 5; q. 70, art. 1), cioè al Popolo di Dio. Alla scuola del Concilio Vaticano II, noi diciamo oggi che il Battesimo ci fa entrare nel Popolo di Dio, ci fa diventare membri di un Popolo in cammino, un Popolo peregrinante nella storia.

In effetti, come di generazione in generazione si trasmette la vita, così anche di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia, e con questa grazia il Popolo cristiano cammina nel tempo, come un fiume che irriga la terra e diffonde nel mondo la benedizione di Dio. Dal momento che Gesù disse quanto abbiamo sentito dal Vangelo, i discepoli sono andati a battezzare; e da quel tempo a oggi c'è una catena nella trasmissione della fede mediante il Battesimo. E ognuno di noi è un anello di quella catena: un passo avanti, sempre; come un fiume che irriga. Così è la grazia di Dio e così è la nostra fede, che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, trasmettere ai bambini, perché essi, una volta adulti, possano trasmetterla ai loro figli. Così è il battesimo. Perché? Perché il battesimo ci fa entrare in questo Popolo di Dio che trasmette la fede. Questo è molto importante. Un Popolo di Dio che cammina e trasmette la fede.

In virtù del Battesimo noi diventiamo discepoli missionari, chiamati a portare il Vangelo nel mondo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 120). «Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione… La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo» (ibid.) di tutti, di tutto il popolo di Dio, un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo – perché riceve la fede – e missionario – perché trasmette la fede. E questo lo fa il Battesimo in noi. Ci dona la Grazia e trasmette la fede. Tutti nella Chiesa siamo discepoli, e lo siamo sempre, per tutta la vita; e tutti siamo missionari, ciascuno nel posto che il Signore gli ha assegnato. Tutti: il più piccolo è anche missionario; e quello che sembra più grande è discepolo. Ma qualcuno di voi dirà: “I Vescovi non sono discepoli, i Vescovi sanno tutto; il Papa sa tutto non è discepolo”. No, anche i Vescovi e il Papa devono essere discepoli, perché se non sono discepoli non fanno il bene, non possono essere missionari, non possono trasmettere la fede. Tutti noi siamo discepoli e missionari.

Esiste un legame indissolubile tra la dimensione mistica e quella missionaria della vocazione cristiana, entrambe radicate nel Battesimo. «Ricevendo la fede e il battesimo, noi cristiani accogliamo l’azione dello Spirito Santo che conduce a confessare Gesù Cristo come Figlio di Dio e a chiamare Dio “Abbà”, Padre. Tutti i battezzati e le battezzate … siamo chiamati a vivere e trasmettere la comunione con la Trinità, poiché l’evangelizzazione è un appello alla partecipazione della comunione trinitaria» (Documento finale di Aparecida, n. 157).

Nessuno si salva da solo. Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere “canali” della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. La dimensione comunitaria non è solo una “cornice”, un “contorno”, ma è parte integrante della vita cristiana, della testimonianza e dell’evangelizzazione. La fede cristiana nasce e vive nella Chiesa, e nel Battesimo le famiglie e le parrocchie celebrano l’incorporazione di un nuovo membro a Cristo e al suo corpo che è la Chiesa (cfr ibid., n. 175b).

A proposito dell’importanza del Battesimo per il Popolo di Dio, è esemplare la storia della comunità cristiana in Giappone. Essa subì una dura persecuzione agli inizi del secolo XVII. Vi furono numerosi martiri, i membri del clero furono espulsi e migliaia di fedeli furono uccisi. Non è rimasto in Giappone nessun prete, tutti sono stati espulsi. Allora la comunità si ritirò nella clandestinità, conservando la fede e la preghiera nel nascondimento. E quando nasceva un bambino, il papà o la mamma lo battezzavano, perché tutti i fedeli possono battezzare in particolari circostanze. Quando, dopo circa due secoli e mezzo, 250 anni dopo, i missionari ritornarono in Giappone, migliaia di cristiani uscirono allo scoperto e la Chiesa poté rifiorire. Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Questo è grande: il Popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti. E avevano mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il Battesimo li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma erano sempre membra del Popolo di Dio, membra della Chiesa. Possiamo tanto imparare da questa storia!


lunedì 13 gennaio 2014

Udienza Generale di #PapaFrancesco - I Sacramenti: IL BATTESIMO - 8 Gennaio 2014

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UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 gennaio 2014

 I Sacramenti: IL BATTESIMO 


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!


Oggi iniziamo una serie di Catechesi sui Sacramenti, e la prima riguarda il Battesimo. Per una felice coincidenza, domenica prossima ricorre proprio la festa del Battesimo del Signore.

1. Il Battesimo è il sacramento su cui si fonda la nostra stessa fede e che ci innesta come membra vive in Cristo e nella sua Chiesa. Insieme all’Eucaristia e alla Confermazione forma la cosiddetta «Iniziazione cristiana», la quale costituisce come un unico, grande evento sacramentale che ci configura al Signore e fa di noi un segno vivo della sua presenza e del suo amore.

Può nascere in noi una domanda: ma è davvero necessario il Battesimo per vivere da cristiani e seguire Gesù? Non è in fondo un semplice rito, un atto formale della Chiesa per dare il nome al bambino e alla bambina? E’ una domanda che può sorgere. E a tale proposito, è illuminante quanto scrive l’apostolo Paolo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4). Dunque non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli.

2. Molti di noi non hanno il minimo ricordo della celebrazione di questo Sacramento, ed è ovvio, se siamo stati battezzati poco dopo la nascita. Ho fatto questa domanda due o tre volte, qui, in piazza: chi di voi sa la data del proprio Battesimo, alzi la mano. È importante conoscere il giorno nel quale io sono stato immerso proprio in quella corrente di salvezza di Gesù. E mi permetto di darvi un consiglio. Ma, più che un consiglio, un compito per oggi. Oggi, a casa, cercate, domandate la data del Battesimo e così saprete bene il giorno tanto bello del Battesimo. Conoscere la data del nostro Battesimo è conoscere una data felice. Il rischio di non saperlo è di perdere la memoria di quello che il Signore ha fatto in noi, la memoria del dono che abbiamo ricevuto. Allora finiamo per considerarlo solo come un evento che è avvenuto nel passato — e neppure per volontà nostra, ma dei nostri genitori —, per cui non ha più nessuna incidenza sul presente. Dobbiamo risvegliare la memoria del nostro Battesimo. Siamo chiamati a vivere il nostro Battesimo ogni giorno, come realtà attuale nella nostra esistenza. Se riusciamo a seguire Gesù e a rimanere nella Chiesa, pur con i nostri limiti, con le nostre fragilità e i nostri peccati, è proprio per il Sacramento nel quale siamo diventati nuove creature e siamo stati rivestiti di Cristo. È in forza del Battesimo, infatti, che, liberati dal peccato originale, siamo innestati nella relazione di Gesù con Dio Padre; che siamo portatori di una speranza nuova, perché il Battesimo ci da questa speranza nuova: la speranza di andare sulla strada della salvezza, tutta la vita. E questa speranza niente e nessuno può spegnere, perché la speranza non delude. Ricordatevi: la speranza nel Signore non delude mai. Grazie al Battesimo, siamo capaci di perdonare e di amare anche chi ci offende e ci fa del male; che riusciamo a riconoscere negli ultimi e nei poveri il volto del Signore che ci visita e si fa vicino. Il Battesimo ci aiuta a riconoscere nel volto delle persone bisognose, nei sofferenti, anche del nostro prossimo, il volto di Gesù. Tutto ciò è possibile grazie alla forza del Battesimo!

3. Un ultimo elemento, che è importante. E faccio la domanda: una persona può battezzarsi da se stessa? Nessuno può battezzarsi da sé! Nessuno. Possiamo chiederlo, desiderarlo, ma abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci conferisca questo Sacramento nel nome del Signore. Perché il Battesimo è un dono che viene elargito in un contesto di sollecitudine e di condivisione fraterna. Sempre nella storia, uno battezza l’altro, l’altro, l’altro… è una catena. Una catena di Grazia. Ma, io non mi posso battezzare da solo: devo chiedere ad un altro il Battesimo. E’ un atto di fratellanza, un atto di filiazione alla Chiesa. Nella celebrazione del Battesimo possiamo riconoscere i lineamenti più genuini della Chiesa, la quale come una madre continua a generare nuovi figli in Cristo, nella fecondità dello Spirito Santo.

Chiediamo allora di cuore al Signore di poter sperimentare sempre più, nella vita di ogni giorno, questa grazia che abbiamo ricevuto con il Battesimo. Incontrandoci, i nostri fratelli possano incontrare dei veri figli di Dio, veri fratelli e sorelle di Gesù Cristo, veri membri della Chiesa. E non dimenticate il compito di oggi: cercare, domandare la data del proprio Battesimo. Come io conosco la data della mia nascita, devo conoscere anche la data del mio Battesimo, perché è un giorno di festa.

domenica 12 gennaio 2014

Festa del Battesimo del Signore - Vangelo (Mt 3,13-17) - 12 Gennaio 2013

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Alleluia, alleluia.

Si aprirono i cieli e la voce del Padre disse:
«Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!».

Alleluia.


Vangelo Mt 3,13-17
Appena battezzato, Gesù vide lo Spirito di Dio
venire su di lui.


+Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.

Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».



LETTURE

Prima Lettura Is 42,1-4.6-7
Ecco il mio servo di cui mi compiaccio.

Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.

Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.

Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

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Seconda Lettura At 10,34-38
Vita familiare cristiana
secondo il comandamento dell'amore.

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.

Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti.

Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».

lunedì 6 gennaio 2014

Festa dell'Epifania del Signore - Vangelo Matteo 2,1-12 (6 Gennaio 2014)

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Noi abbiamo visto la sua stella in oriente

e siamo venuti con doni per adorare il Signore. (Cfr Mt 2,2)

Vangelo Mt 2,1-12
Siamo venuti dall'oriente per adorare il re.

+Dal Vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele"».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».


Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.


Prima Lettura Is 60,1-6
La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal libro del profeta Isaìa

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.

Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.

Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l'abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

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Seconda Lettura Ef 3,2-3a.5-6
Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù,
a condividere la stessa eredità.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.

Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

domenica 5 gennaio 2014

Leggiamo il Vangelo - Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi - Gv 1,1-18 (5 Gennaio 2013)

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A tutti quelli che lo hanno accolto
il Verbo incarnato
ha dato il potere di diventare figli di Dio. (Cfr Gv 1,12)


Vangelo Gv 1,1-18
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

+Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».

Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.





LETTURE

Prima LetturaSir 24,1-4.12-16 (NV) [gr. 24,1-2.8-12]
La sapienza di Dio è venuta ad abitare nel popolo eletto.

Dal libro del Siràcide

La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria,
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, mentre dice:

«Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: "Fissa la tenda di Giacobbe
e prendi eredità in Israele,
affonda le tue radici tra i miei eletti".

Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creata,
per tutta l'eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.

Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell’assemblea dei santi ho preso dimora».



Seconda Lettura Ef 1,3-6.15-18
Mediante Gesù, Dio ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

venerdì 3 gennaio 2014

Messaggio della Regina della Pace a Mirjana (#Medjugorje 2 Gennaio 2014)

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MESSAGGIO DELLA REGINA DELLA PACE A MIRJANA
Medjugorje, 2 gennaio 2014


“Cari figli

per poter essere miei apostoli e per poter aiutare tutti coloro che sono nella tenebra a conoscere la luce dell’amore di mio Figlio, dovete avere cuori puri ed umili. Non potete essere d’aiuto affinché mio Figlio nasca e regni nei cuori di coloro che non lo conoscono, se Egli non regna, se non è il Re nel vostro cuore. Io sono con voi, cammino con voi come Madre, busso ai vostri cuori: non possono aprirsi, perché non sono umili. Io prego - ma pregate anche voi, figli miei amati, - affinché possiate aprire a mio Figlio cuori puri ed umili e ricevere i doni che vi ha promesso. Allora sarete guidati dall’amore e dalla forza di mio Figlio. Allora sarete miei apostoli, che diffonderanno ovunque attorno a loro i frutti dell’amore di Dio. A partire da voi e attraverso di voi agirà mio Figlio, perché sarete una cosa sola. A questo anela il mio Cuore materno: all’unità di tutti i miei figli per mezzo di mio Figlio. Con grande amore benedico e prego per gli eletti di mio Figlio: per i vostri pastori. 
Vi ringrazio”.


All’inizio la Madonna era addolorata e, in seguito, decisa.
La Madonna ha benedetto tutti i presenti e tutti gli oggetti che abbiamo portato perché venissero benedetti.







Per approfondimenti e commenti al messaggio vi invito come sempre a visitare il sito di Radio Maria.

mercoledì 1 gennaio 2014

Messaggio di #PapaFrancesco per la XLVII Giornata Mondiale della Pace.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA 
XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 

1° GENNAIO 2014



FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE

1. In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e

popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.

Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura. E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.

Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella “globalizzazione dell’indifferenza” che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi.

In tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione. Il tragico fenomeno del traffico degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione speculano persone senza scrupoli, ne rappresenta un inquietante esempio. Alle guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese.

La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli.[1] Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero do ut des pragmatico ed egoista.

In pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere.[2] Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini, ovvero quel farsi “prossimo” che si prende cura dell’altro.

«Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9)

2. Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità, per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento, è fondamentale farsi guidare dalla conoscenza del disegno di Dio, quale è presentato in maniera eminente nella Sacra Scrittura.

Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26), da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli.

Abele è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e, insieme, la loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella diversità della loro attività e cultura, del loro modo di rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non accettando la predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il meglio del suo gregge – «il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta» (Gen 4,4-5) – uccide per invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio, assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione dell’altro. Alla domanda «Dov’è tuo fratello?», con la quale Dio interpella Caino, chiedendogli conto del suo operato, egli risponde: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gen 4,9). Poi, ci dice la Genesi, «Caino si allontanò dal Signore» (4,16).

Occorre interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di reciprocità e di comunione che lo legava a suo fratello Abele. Dio stesso denuncia e rimprovera a Caino una contiguità con il male: «il peccato è accovacciato alla tua porta» (Gen 4,7). Caino, tuttavia, si rifiuta di opporsi al male e decide di alzare ugualmente la sua «mano contro il fratello Abele» (Gen 4,8), disprezzando il progetto di Dio. Egli frustra così la sua originaria vocazione ad essere figlio di Dio e a vivere la fraternità.

Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per la comunione e per il dono.

«E voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)

3. Sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo potranno mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità, impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le sorelle?

Parafrasando le sue parole, potremmo così sintetizzare la risposta che ci dà il Signore Gesù: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli (cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque, efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla condivisione operosa.

In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il “luogo” definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità.

Gesù riprende dal principio il progetto del Padre, riconoscendogli il primato su ogni cosa. Ma il Cristo, con il suo abbandono alla morte per amore del Padre, diventa principio nuovo e definitivo di tutti noi, chiamati a riconoscerci in Lui come fratelli perché figli dello stesso Padre. Egli è l’Alleanza stessa, lo spazio personale della riconciliazione dell’uomo con Dio e dei fratelli tra loro. Nella morte in croce di Gesù c’è anche il superamento della separazione tra popoli, tra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei Gentili, privo di speranza perché fino a quel momento rimasto estraneo ai patti della Promessa. Come si legge nella Lettera agli Efesini, Gesù Cristo è colui che in sé riconcilia tutti gli uomini. Egli è la pace, poiché dei due popoli ne ha fatto uno solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva, ovvero l’inimicizia. Egli ha creato in se stesso un solo popolo, un solo uomo nuovo, una sola nuova umanità (cfr 2,14-16).

Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a Lui dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L’uomo riconciliato vede in Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è sollecitato a vivere una fraternità aperta a tutti. In Cristo, l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tantomeno come un antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono “vite di scarto”. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. È  questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.

La fraternità, fondamento e via per la pace

4. Ciò premesso, è facile comprendere che la fraternità è fondamento e via per la pace. Le Encicliche sociali dei miei Predecessori offrono un valido aiuto in tal senso. Sarebbe sufficiente rifarsi alle definizioni di pace della Populorum progressio di Paolo VI o della Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II. Dalla prima ricaviamo che lo sviluppo integrale dei popoli è il nuovo nome della pace.[3] Dalla seconda, che la pace è opus solidaritatis.[4]

Paolo VI afferma che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità. E spiega: «In questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra noi dobbiamo […] lavorare assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità».[5] Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri.[6]

Così, se si considera la pace come opus solidaritatis, allo stesso modo, non si può pensare che la fraternità non ne sia il fondamento precipuo. La pace, afferma Giovanni Paolo II, è un bene indivisibile. O è bene di tutti o non lo è di nessuno. Essa può essere realmente conquistata e fruita, come miglior qualità della vita e come sviluppo più umano e sostenibile, solo se si attiva, da parte di tutti, «una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune»[7]. Ciò implica di non farsi guidare dalla «brama del profitto» e dalla «sete del potere». Occorre avere la disponibilità a «“perdersi” a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a “servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto. […] L’“altro” – persona, popolo o Nazione – [non va visto] come uno strumento qualsiasi, per sfruttare a basso costo la sua capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come un nostro “simile”, un “aiuto”».[8]

La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo come «un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma [come] viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo»[9], come un altro fratello. «Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fraternità di tutti gli uomini in Cristo, “figli nel Figlio”, della presenza e dell’azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà – rammenta Giovanni Paolo II – al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo»,[10] per trasformarlo.

Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà

5. Nella Caritas in veritate il mio Predecessore ricordava al mondo come la mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà.[11] In molte società sperimentiamo una profonda povertà relazionale dovuta alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie. Assistiamo con preoccupazione alla crescita di diversi tipi di disagio, di emarginazione, di solitudine e di varie forme di dipendenza patologica. Una simile povertà può essere superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di rapporti fraterni in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso la condivisione delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei successi che accompagnano la vita delle persone.

Inoltre, se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta, dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita della povertà relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale. In tal senso, servono anche politiche efficaci che promuovano il principio della fraternità, assicurando alle persone - eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali - di accedere ai “capitali”, ai servizi, alle risorse educative, sanitarie, tecnologiche affinché ciascuno abbia l’opportunità di esprimere e di realizzare il suo progetto di vita, e possa svilupparsi in pienezza come persona.

Si ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una eccessiva sperequazione del reddito. Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in base alla quale se è lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi necessario «che l’uomo abbia la proprietà dei beni»[12], quanto all’uso, li «possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri»[13].

Infine, vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così sconfiggere la povertà - che dev’essere alla base di tutti gli altri. È il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani. È il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di povertà, ma anche di tante famiglie e tanti cittadini responsabili, che credono fermamente che sia la relazione fraterna con il prossimo a costituire il bene più prezioso.

La riscoperta della fraternità nell’economia

6. Le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee - che trovano la loro origine nel progressivo
allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, nella ricerca avida di beni materiali, da un lato, e nel depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie dall’altro - hanno spinto molti a ricercare la soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia. Già nel 1979 Giovanni Paolo II avvertiva l’esistenza di «un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell’uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente percettibile, manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la pressione dei mezzi di comunicazione sociale».[14]

Il succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni ripensamenti dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggio per la vita delle persone, può essere anche un’occasione propizia per recuperare le virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza. Esse ci possono aiutare a superare i momenti difficili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli uni agli altri, nella fiducia profonda che l’uomo ha bisogno ed è capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale. Soprattutto tali virtù sono necessarie per costruire e mantenere una società a misura della dignità umana.

La fraternità spegne  la guerra

7. Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità.

Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo[15].

Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi! «In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data»[16].

Tuttavia, finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l’appello dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e chimico.

Non possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita in pienezza per tutti. È questo lo spirito che anima molte delle iniziative della società civile, incluse le organizzazioni religiose, in favore della pace. Mi auguro che l’impegno quotidiano di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti.

La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità

8. L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se giovane, non vanno frustrate e offese, non va rubata la speranza di poterle realizzare. Tuttavia, l’ambizione non va confusa con la prevaricazione. Al contrario, occorre gareggiare nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10). Anche nelle dispute, che costituiscono un aspetto ineliminabile della vita, bisogna sempre ricordarsi di essere fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo come un nemico o come un avversario da eliminare.

La fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità politica deve, allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire tutto ciò. I cittadini devono sentirsi rappresentati dai poteri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra cittadino e istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto.

Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose.

Penso al dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in atto; alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete vittime innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il futuro; penso all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e agli abusi contro i minori, alla schiavitù che ancora diffonde il suo orrore in tante parti del mondo, alla tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità. Scrisse al riguardo Giovanni XXIII: «Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse»[17]. L’uomo, però, si può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti, anche per coloro che hanno commesso crimini efferati, poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 18,23).

Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto. La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili.

La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura

9. La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la natura. La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi sulla natura per trarne beneficio, a patto di agire responsabilmente, cioè riconoscendone quella “grammatica” che è in essa inscritta ed usando saggiamente le risorse a vantaggio di tutti, rispettando la bellezza, la finalità e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione nell’ecosistema. Insomma, la natura è a nostra disposizione, e noi siamo chiamati ad amministrarla responsabilmente. Invece, siamo spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future.

In particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario con la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire l’umanità. A tale riguardo, la persistente vergogna della fame nel mondo mi incita a condividere con voi la domanda: in che modo usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono riflettere sulla gerarchia delle priorità a cui si destina la produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le risorse della terra in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le iniziative e le soluzioni possibili sono tante e non si limitano all’aumento della produzione. E’ risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure ci sono milioni di persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero scandalo. È necessario allora trovare i modi affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra, non soltanto per evitare che si allarghi il divario tra chi più ha e chi deve accontentarsi delle briciole, ma anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano. In tal senso, vorrei richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Rispettare tale principio è la condizione essenziale per consentire un fattivo ed equo accesso a quei beni essenziali e primari di cui ogni uomo ha bisogno e diritto.

Conclusione

10. La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.

Il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni attività umana diventa più povera e le persone vengono ridotte a oggetti da sfruttare. Solo se accettano di muoversi nell’ampio spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni uomo e ogni donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere strumento efficace di sviluppo umano integrale e di pace.

Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune (cfr Ef 4,7.25; 1 Cor 12,7). Cristo è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta tessere una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella.

Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere, senza costringere nessuno ad aprirgli le porte del suo cuore e della sua mente. «Chi fra voi è il più grande diventi come il più piccolo e chi governa diventi come quello che serve» – dice Gesù Cristo – «io sono in mezzo a voi come uno che serve» (Lc 22,26-27). Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.

Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni la fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace ad ogni uomo su questa nostra amata terra.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2013

FRANCISCUS

Leggiamo il Vangelo - Maria Santissima Madre di Dio - Lc 2,16-21 (1 Gennaio 2014)

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Celebriamo la vergine Maria, madre di Dio:

         adoriamo il suo figlio, Cristo Signore.


Vangelo Lc 2,16-21
I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.
Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.

+Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.




LETTURE

Prima Lettura Nm 6,22-27
Porranno il mio nome sugli Israeliti
e io li benedirò.

Dal libro dei Numeri

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: "Così benedirete gli Israeliti: direte loro:

Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace".

Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

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Seconda Lettura Gal 4,4-7
Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.

E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.



Mercoledì 1 Gennaio 2014
Maria Madre di Dio
Dal Sussidio CEI - Avvento-Natale 2013, 
a cura dell'Ufficio Liturgico Nazionale

Nell’ottava di Natale la Chiesa celebra la festa di Maria Madre di Dio. Le letture bibliche si soffermano tuttavia sul Figlio di Maria e sull’imposizione del “Nome del Signore”. Il titolo di “Madre di Dio”, sancito dal Concilio di Efeso nel 431, pone in evidenza la straordinaria missione di Maria nella storia della salvezza e il suo ruolo unico in relazione al popolo di Dio incamminato verso la Gerusalemme celeste. Come recita, infatti, la preghiera Colletta della liturgia della Solennità: «Nella verginità feconda di Maria (tu, o Dio) hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna». In Maria Dio ha benedetto tutte le genti ed ha riversato sull’umanità intera la sua grazia e i suoi benefici. Grazie al suo sì generoso e incondizionato, Dio ha fatto dono al mondo del suo Figlio unigenito nel quale è stata fatta pace fra il cielo e la terra. La pace è il dono messianico per eccellenza perché è la salvezza portata da Gesù, la riconciliazione e la pacificazione con Dio dell’umanità salvata per il sangue di Cristo. La pace si radica nel mistero di Cristo poiché «la pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre» (GS 78).
 Questi «ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica» (LG 9).


Questa verità possiamo ammirarla con gli occhi del corpo e contemplarla con gli occhi dello spirito nella splendida Cattedrale di Monreale dedicata a Santa Maria Nuova, il cui ricco e prezioso programma musivo della fine del XII sec. e della prima metà del XIII sec. converge nell’imponente figura del Cristo Pantocratore posto nel catino absidale. La prospettiva escatologica che orienta l’intero ciclo di mosaici emerge anche dall’etimasia, cioè dal trono vuoto con i segni della passione e con la colomba, posto al centro dell’arco del presbiterio, a significare la tensione escatologica che anima la vita e l’azione della Chiesa nella storia sotto la guida dello Spirito Santo. Immediatamente sotto l’immagine solenne e austera del Cristo parusiaco, nel registro di mezzo emerge la figura della Vergine seduta in trono, con il Bambino Gesù benedicente sulle ginocchia, circondata da angeli e da figure di santi. Lo sfondo oro colloca la scena in un tempo senza tempo, nel tempo della pienezza e della visione, della gloria e della comunione perfetta. Guardando a Maria la Chiesa guarda a se stessa e intravede il suo destino ultimo, la sua futura glorificazione dopo il tempo della tribolazione e della prova. Tutto ormai è posto sotto il dominio di Cristo, ogni cosa è raggiunta dalla sua luce. Il Cristo venuto nella gloria ha già consegnato il Regno al Padre suo e Dio è “tutto in tutte le cose” (cf. 1Cor 15, 24-28). Il Cristo benedicente tiene in mano il libro dei vangeli su cui è scritto in greco e latino: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre» (Gv 8,12).


Maria, immagine e modello della Chiesa, è stata la prima discepola del suo Figlio ed ha irradiato nel mondo lo splendore della sua salvezza. La Chiesa che in Cristo è «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1), è invitata ogni giorno a seguire Cristo, Luce delle genti, e a sperimentare che «il momentaneo, leggero perso» della sua tribolazione le procura una «quantità smisurata ed eterna di gloria». Per questa ragione essa non deve fissare lo sguardo sulle cose visibili, quanto piuttosto su quelle invisibili. «Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne» (2Cor 4,17-18).

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